di Dr. Lucia Ruggiero

 

Un paese… il suo cibo

Il bel Paese è stato per anni, e per certi versi lo è ancora, la culla del buon vivere e soprattutto del buon mangiare. Dai prodotti della terra ai prodotti lavorati come la pasta, dai cereali alla frutta, dall’olio al vino produciamo da secoli Tradizioni culinarie note in tutto il mondo.

La posizione geografica ha reso unici prodotti caseari come il Parmiggiano Reggiano, la mozzarella di Bufala, la mucca Chianina, i cereali, l’olio di oliva e una varietà di centinaia di vitigni autoctoni.

Tutto questo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nell’immediato dopoguerra, causa depressione e voglia di riscatto economico, ci siamo fatti sopraffare dalle industrie e siamo stati affascinati dal modello americano anche a tavola.

L’alimentazione italiana nel dopoguerra

WhatsApp Image 2017-10-27 at 23.06.26Le perdite umane e materiali causate dalla guerra furono così ingenti che i paesi sconfitti potevano considerarsi tutti in uno stato di prostrazione. Le perdite materiali furono particolarmente gravi per quanto riguarda le abitazioni e anche il settore agricolo subì danneggiamenti pesanti. La prospettiva era davvero desolante. L’iniziativa, presa dagli americani, era volta a facilitare economicamente il processo di ricostruzione ma anche a stabilire e consolidare l’influenza economica statunitense in Europa e quindi in Italia. Fondamentale per l’Europa occidentale, e per l’Italia in particolare, la politica di aiuti americana del Piano Marshall.

Il Piano Marshall consentì ai paesi vinti di conseguire uno sviluppo straordinario, favorendo ovviamente la ripresa economica americana, la cui prosperità permise agli Usa di esercitare un ruolo egemonico in tutti i settori compreso quello militare. Basti pensare alle basi americane ancora presenti sui nostri territori.

retro-1291738_960_720E così il mito americano si è insediato pesantemente ovunque, influenzando anche gusti e preferenze alimentari. Pian piano gli alimenti sono diventati standard e i gusti si sono uniformati. Sicuramente ci ha aiutati ad uscire dalla fame ma il prezzo che abbiamo pagato è stato elevato in termini di salute e gusto.

L’alimentazione globalizzata

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Attualmente ci troviamo nel piatto prodotti spesso precotti, provenienti da paesi che non adottano misure di controlli necessari per la nostra salute.  Le nostre aziende alimentari, eccellenze nel mondo, sono diventate satelliti delle grandi multinazionali. Da Granarolo a Lavazza, da Parmalat a Galbani. Tanti sono i marchi italiani noti nel mondo che hanno varcato il confine. Tutto questo è significato spostare le fonti di approvvigionamento delle materie prime a danno dei coltivatori/produttori italiani, o peggio vedere ridotti i compensi ai contadini a danno della salute e della economia reale.

Si è cosi persa la stagionalità dei prodotti, la scelta e la qualità degli alimenti; l’utilizzo di pesticidi per lo sfruttamento totale dei terreni avviene a scapito della biodiversità; gli ormoni utilizzati per gli animali allevati in batteria e gli antibiotici somministrati determinano un inarrestabile danno alla salute.

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Ci troviamo di fronte alla malalimentazione che è uno dei frutti dell’industrializzazione, cioè la produzione massiva di alimenti che vanno dai piatti pronti ai polli allevati in batteria. In 50 anni siamo passati dalla penuria del dopoguerra ai rischi alimentari di oggi.

 

Ormai gli agricoltori di oggi non hanno più né l’orto né animali da cortile.

D’altro lato i dati prodotti dagli organismi internazionali e nazionali che dovrebbero sovraintendere alla salute pubblica concordano che un’alimentazione sana significhi anche un allungamento della vita e comunque uno stile di vita migliore. Allora riprendiamoci il percorso iniziato in passato e riprendiamo ad amare noi stessi attraverso un utilizzo consapevole dei prodotti che ingeriamo.

Rendiamo il nostro corpo contenitore di bontà semplici, sane, nostrane, stagionali.

Ricominciamo a scegliere e mangiare prodotti nazionali.

Passiamo dall’essere Società del buon AVERE alla società del buon VIVERE.

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