Dieta mediterranea: alleata della nostra salute

Già nel Medioevo esisteva la Dieta Mediterranea e se ne stabilivano le regole nel Regimen Sanitatis Salernitanum, primo e famoso manuale della salute del Medioevo.
Scritto in versi da Arnaldo di Villanova che fissava delle regole di vita:

  • ingrassare, ma con equilibrio;
  • attenersi dalla rabbia;
  • consumare solo formaggi freschi;
  • mangiare quando lo stomaco è vuoto;
  • fare una passeggiata dopo che si è mangiato.

Nel 1939, il primo a intuire la connessione tra alimentazione e malattie del ricambio, quali diabete, bulimia, o densità fu il medico nutrizionista italiano Lorenzo Piroddi, che a giusta ragione è considerato il padre della Dieta Mediterranea. Dopo anni dedicati allo studio e alla ricerca sulla alimentazione, altri, nel 1950 a Ghiffa, un centro di cura dove i pazienti vengono curati seguendo i dettami della dieta mediterranea, insieme alla somministrazione di specifiche tisane.

La dieta, figlia legittima di Piroddi, nel tempo ha avuto altri illustri padri adottivi il più famoso fu Ancel Keys, nato nel 1904 a Colorado Spring, lavorò come biologo, fisiologo e nutrizionista presso l’Università del Minnesota.
grandparents-2198053_1920Durante il suo soggiorno italiano prese parte al primo convegno sulla alimentazione che si tenne a Roma nel 1950 e restò affascinato dal dato della bassa incidenza di patologie cardiovascolari e disturbi gastrointestinali della regione Campania. Questa osservazione lo indusse ad uno studio pilota volto a cercare i fondamenti scientifici di tale incidenza. Sottopose ad indagini  gli abitanti di Nicotera in Calabria, che adottavano uno stile alimentare mediterraneo. La popolazione di Nicotera, di Montegiorgio e quelli della Campania avevano un tasso molto basso di colesterolo nel sangue e una percentuale minima di malattie coronariche, dovuta al regime alimentare adottato basato su olio di oliva, pane e pasta, aglio, cipolla rossa, erbe aromatiche, verdura pesce e poca carne.

Questo tipo di alimentazione venne chiamata Mediterranean Diet e ne fu Ancel Keys l’inventore .

Leggendo quindi la storia della dieta mediterranea il male cronico che affligge la cultura italiana. Come dice Montanelli nella sua storia d’Italia “forse uno dei guai dell’Italia è proprio questo che per la modestia del popolo quando grida < Forza Italia> allude solo ad una squadra di calcio” e non al valore di studiosi, scienziati, artisti che hanno segnato e fatto  grande questa nazione.

Keys rimase a Pioppi per oltre vent’anni dove vi morì nel 2004, all’età di 100 anni dimostrando in tal modo che la dieta mediterranea funzionava davvero in modo eccelso.

tmp905784851469172739Su questi dati si basa la cosiddetta piramide mediterranea i cui esiti hanno provato che nell’area mediterranea la qualità di vita è migliore e si vive più a lungo.

A 11 anni dalla scomparsa del suo padre adottivo la dieta mediterranea è stata dichiarata dall’Unesco patrimonio orale e immateriale dell’umanità.

Quanto emerge dalla adozione della dieta mediterranea o simili a  quella mediterranea  mostra che questa rappresenta un fattore protettivo verso dei maggiori malattie croniche non comunicabili – NCD come le malattie cardiovascolari, il diabete, l’obesità, la malattia cronica ostruttiva polmonare e alcuni tumori-sono responsabili del 70% di  disabilità e dell’85% delle morti.

Oltre che un problema umano di sofferenze e di morte, esse costituiscono un carico pesante di ordine economico, sempre meno sostenibile anche in paesi a più elevata copertura sanitaria. Il ricorso a questo stile di vita rappresenta quindi un carattere di necessità.

Negli studi condotti, il concetto di dieta mediterranea è stato tradotto concretamen

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te in una dieta alimentare caratterizzata da: un elevato consumo di verdura, legumi, frutta e frutta a guscio, olio di oliva e cereali, da un moderato consumo di pesce e prodotti caseari e il vino; da un basso consumo di carne rossa, carne bianca e acidi grassi saturi.

 

Ma nonostante che risultati derivanti da questo tipo di dieta siano importanti per una migliore qualità della vita, dagli anni 50 ad oggi, si è assistito in tutta l’area del Mediterraneo, Italia compresa, a un graduale abbandono di questa dieta a favore di stile alimentari meno salutari.

In tale contesto, la Lombardia ha un indice di adeguatezza mediterranea di 1,35, il più basso in Italia. Questo comportamento alimentare nonostante la regione Lombardia sia considerata un’eccellenza in campo oncologico, si è visto che ogni anno muoiono per tumore 30,7 persone ogni 10.000 abitanti, contro una media nazionale di 28,6. Lo stile di vita e altri componenti ambientali sono da considerare le responsabili di questo paradosso.

Agrumi: qual è la loro storia

di Sara Barone

Con il termine agrume, dal latino acer e poi successivamente agro, si indicavano gli ortaggi acri al gusto, come ad esempio le cipolle. Al giorno d’oggi questo stesso termine sta ad indicare tutte le specie conosciute e diffuse appartenenti al genere del citrus, piante della sottofamiglia delle Rutacee e i loro frutti. Il termine prende origine dalla forma greca kedros, che indicava in età antica gli alberi di cedro, pino e cipresso.

L’individuazione di un’area geografica che circoscrivesse l’origine degli agrumi ha portato negli anni a conclusioni non sempre concordanti. Oggi, alla luce dell’ampiezza della diffusione degli agrumi, si concorda nel ritenere le regioni tropicali e sub tropicali del sud-est asiatico e dell’Indocina i centri primari della loro diffusione.  Le coltivazioni di agrumi sono presenti in moltissimi paesi grazie alla forte resistenza delle piante, le quali sempreverdi e capaci di produrre frutti in condizioni climatiche disparate, conquistano territori dai climi caldo-umidi dell’equatore a quelli marittimi più freddi. Fra i principali produttori mondiali ci sono Brasile, Cina e Stati Uniti, mentre il primato dell’area mediterranea è conteso fra Spagna, Italia, Turchia ed Egitto. In Italia la produzione è concentrata principalmente nelle aree meridionali, come Sicilia e Calabria, ma  anche Campania, Puglia e Basilicata.

Quali sono gli agrumi più popolari?

Il cedro

Citrus medica originario dell’India, raggiunse l’Europa in epoca Romana ed è probabilmente l’agrume ad aver avuto l’esportazione più antica. Inserito nella  Naturalis Historia da Plinio il vecchio, in epoca romana il suo utilizzo era probabilmente quello di repellente per zanzare e insetti.

Il mandarino

Citrus reticulata è originario, come si può dedurre dal nome, della Cina tropicale  e prende il nome dagli antichi funzionari politici imperiali, i quali indossavano un mantello arancione.

Il pomelo

Citrus maxima è originario del sud-est asiatico, è considerato il più antico degli agrumi esistenti.
Tutti gli altri sono derivati da incroci o mutazioni:  l’arancio dolce (citrus sinesi) e quello amaro (citrus aurantium), importantissimi sul piano commerciale, sono un incrocio antichissimo fra mandarino e pomelo; il pompelmo (citrus paradisi) creato nel ‘700 nelle isole Barbados, incrociando un arancio dolce e un pomelo, ancora la clementina (citrus clementina) nata in Algeria poco più di un secolo fa dall’incrocio fra  mandarino e arancio dolce. Mutazioni spontanee sono invece quelle del chinotto (citrys myrtifolia) e del bergamotto (citrus  bergamia).

Il limone

Citrus  limon è certamente uno degli agrumi a noi più cari e fra i più conosciuti.   Originario dell’Asia, nato da un probabile incrocio fra cedro e arancio amaro, già conosciuto dagli antichi Romani, ma la sua diffusione in Europa si ha per mano degli Arabi impiantarono le prime coltivazioni in Sicilia durante il Basso Medioevo. Dal termine persiano لیمو, che si pronuncia līmū deriva il nome attuale del limone.
L’utilizzo del limone è a tutto tondo: la buccia è utilizzata sia per la produzione di canditi, sia per l’estrazione di essenze e pectina. I semi sono utilizzati per estrarre l’olio e il rimanente è impiegato nell’alimentazione animale. Con la buccia in Campania viene prodotto un famoso liquore, il Limoncello.

La parte più comunemente utilizzata è il succo, contenente acido citrico che conferisce il tipico sapore aspro, e altri acidi organici come l’acido malico e l’acido ascorbico. La scoperta di questo acido si riallaccia alla storia dello scorbuto, morbo che per quasi cinque secoli ha afflitto  sopratutto le popolazioni marinare. Ebbe il  suo exploit fra il ‘500 e l’800, contagiando migliaia di marinai. La malattia, oltre a scaturire in un certo malessere psicologico e morale – chi ne era affetto diventava letteralmente scorbutico e intrattabile – causava un indebolimento muscolare, continue emorragie, gli individui erano caratterizzati da un aspetto molto emaciato e la loro morte avveniva spesso a causa di altre patologie che subentravano con facilità date le già precarie condizioni dei soggetti.

La patologia derivava dalla carenza di vitamina C (ovvero l’acido ascorbico) nella dieta già piuttosto povera dei marinai. Questa scoperta si deve a James Lind, chirurgo della marina reale inglese, il quale sottopose 12 membri affetti da scorbuto e somministrò loro diversi alimenti. I risultati ottenuti permisero di dedurre che l’assunzione di arance e limoni, contenenti vitamina C all’epoca ancora sconosciuta, permettevano di prevenire l’insorgere del morbo. Già dal 1795 la marina  inglese  introdusse succo di limone o lime alla dieta dei marinai. Questo acido fu denominato vitamina C sono nel 1921, isolato e cristallizzato da Joseph Svirbely e Albert Szent Gyorgyi fra il 1928 e il 1933.

In generale in farmacologia e in medicina il limone è molto apprezzato sin dall’antichità. Il succo era spesso utilizzato quale antiemorragico, disinfettante e astringente. Sovente utilizzato nell’aromaterapia, viene indicato come rinfrescante, battericida e tonico per la circolazione.

Come è cambiata l’alimentazione italiana dal dopoguerra ad oggi

di Dr. Lucia Ruggiero

 

Un paese… il suo cibo

Il bel Paese è stato per anni, e per certi versi lo è ancora, la culla del buon vivere e soprattutto del buon mangiare. Dai prodotti della terra ai prodotti lavorati come la pasta, dai cereali alla frutta, dall’olio al vino produciamo da secoli Tradizioni culinarie note in tutto il mondo.

La posizione geografica ha reso unici prodotti caseari come il Parmiggiano Reggiano, la mozzarella di Bufala, la mucca Chianina, i cereali, l’olio di oliva e una varietà di centinaia di vitigni autoctoni.

Tutto questo fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Nell’immediato dopoguerra, causa depressione e voglia di riscatto economico, ci siamo fatti sopraffare dalle industrie e siamo stati affascinati dal modello americano anche a tavola.

L’alimentazione italiana nel dopoguerra

WhatsApp Image 2017-10-27 at 23.06.26Le perdite umane e materiali causate dalla guerra furono così ingenti che i paesi sconfitti potevano considerarsi tutti in uno stato di prostrazione. Le perdite materiali furono particolarmente gravi per quanto riguarda le abitazioni e anche il settore agricolo subì danneggiamenti pesanti. La prospettiva era davvero desolante. L’iniziativa, presa dagli americani, era volta a facilitare economicamente il processo di ricostruzione ma anche a stabilire e consolidare l’influenza economica statunitense in Europa e quindi in Italia. Fondamentale per l’Europa occidentale, e per l’Italia in particolare, la politica di aiuti americana del Piano Marshall.

Il Piano Marshall consentì ai paesi vinti di conseguire uno sviluppo straordinario, favorendo ovviamente la ripresa economica americana, la cui prosperità permise agli Usa di esercitare un ruolo egemonico in tutti i settori compreso quello militare. Basti pensare alle basi americane ancora presenti sui nostri territori.

retro-1291738_960_720E così il mito americano si è insediato pesantemente ovunque, influenzando anche gusti e preferenze alimentari. Pian piano gli alimenti sono diventati standard e i gusti si sono uniformati. Sicuramente ci ha aiutati ad uscire dalla fame ma il prezzo che abbiamo pagato è stato elevato in termini di salute e gusto.

L’alimentazione globalizzata

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Attualmente ci troviamo nel piatto prodotti spesso precotti, provenienti da paesi che non adottano misure di controlli necessari per la nostra salute.  Le nostre aziende alimentari, eccellenze nel mondo, sono diventate satelliti delle grandi multinazionali. Da Granarolo a Lavazza, da Parmalat a Galbani. Tanti sono i marchi italiani noti nel mondo che hanno varcato il confine. Tutto questo è significato spostare le fonti di approvvigionamento delle materie prime a danno dei coltivatori/produttori italiani, o peggio vedere ridotti i compensi ai contadini a danno della salute e della economia reale.

Si è cosi persa la stagionalità dei prodotti, la scelta e la qualità degli alimenti; l’utilizzo di pesticidi per lo sfruttamento totale dei terreni avviene a scapito della biodiversità; gli ormoni utilizzati per gli animali allevati in batteria e gli antibiotici somministrati determinano un inarrestabile danno alla salute.

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Ci troviamo di fronte alla malalimentazione che è uno dei frutti dell’industrializzazione, cioè la produzione massiva di alimenti che vanno dai piatti pronti ai polli allevati in batteria. In 50 anni siamo passati dalla penuria del dopoguerra ai rischi alimentari di oggi.

 

Ormai gli agricoltori di oggi non hanno più né l’orto né animali da cortile.

D’altro lato i dati prodotti dagli organismi internazionali e nazionali che dovrebbero sovraintendere alla salute pubblica concordano che un’alimentazione sana significhi anche un allungamento della vita e comunque uno stile di vita migliore. Allora riprendiamoci il percorso iniziato in passato e riprendiamo ad amare noi stessi attraverso un utilizzo consapevole dei prodotti che ingeriamo.

Rendiamo il nostro corpo contenitore di bontà semplici, sane, nostrane, stagionali.

Ricominciamo a scegliere e mangiare prodotti nazionali.

Passiamo dall’essere Società del buon AVERE alla società del buon VIVERE.

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Come è cambiata l’alimentazione dell’uomo: l’età moderna

L’età moderna, con la cui datazione non si può mai essere precisi, va dalla scoperta dell’America (1492) alle grandi rivoluzioni industriali e sociali che si susseguiranno fino agli ultimi decenni dell’800.

In un lasso di tempo tanto vasto si sono alternati avvenimenti che hanno mutato, tra le tante cose, anche il regime alimentare delle popolazioni europee.
Uno di questi è la crescita urbana, che continua a fomentare l’economia di mercato.    Ad essa è legata una grossa espansione demografica, che mette in crisi le strutture di produzione e di approvvigionamento alimentare.
La popolazione Europea passa dai 90 milioni di individui nel XIV° secolo ai 200 milioni verso gli inizi del XIX°secolo.
Per aumentare la produttività agricola si ricorre al disboscamento dei terreni incolti e la privatizzazione degli stessi, a discapito del pascolo e del raccolto. Di nuovo, la crescita dell’agricoltura immette un’enorme quantità di semi nell’alimentazione popolare che risulta sempre più carente di proteine.
Il consumo di carne diminuisce progressivamente, così come quello del pesce a causa della sua deperibilità. In alternativa al pesce fresco, le pratiche di conservazione subiscono un incremento notevole: l’aringa affumicata, il merluzzo, lo stoccafisso e il baccalà sotto sale diventano surrogati della carne indispensabili per le classi popolari.
I cereali tornano con prepotenza ad essere l’alimento cardine di questi anni, avendo nei periodi di secca ripercussioni pesantissimi sulle popolazioni.
Uno degli avvenimenti più importanti di quest’età è certamente la scoperta dell’America, che sancisce il passaggio dal Medioevo all’età moderna.
L’Europa importò dal nuovo mondo una grande vastità di nuovi alimenti come il mais, il cacao, la patata, nuove varietà di fagioli e i pomodori.
Il mais era il cereale su cui si fondava l’alimentazione dei popoli del centro-America. Portato in Spagna da Colombo, divenne famoso nelle campagne verso il finire del ‘500 grazie alla sua buona resa, tanto che tra il XVI e il XVII secolo divenne l’alimento di base dei contadini italiani e francesi, con l’inconveniente di diffuse epidemie di pellagra, dovute alla carenza della vitamina PP nel mais.
La patata, scoperta dagli spagnoli agli inizi del ‘500, fu proposta da Antoine Parmentier come sostituto del grano nei periodi di carestia, ma ritenuta da sempre alimento adatto ai maiali, fu largamente respinta. Solo nel corso del ‘700 si affermerà come alimento di base delle popolazioni europee, durante quella che verrà definita una vera e propria rivoluzione agricola.
Il cacao, che era coltivato nell’area messicana, usato dagli Aztechi e dai Maya come moneta di scambio, in Europa suscitò molta curiosità. Gli spagnoli furono i primi ad introdurre il suo uso nel vecchio continente, ma dato il suo alto costo, la cioccolata ricavata da esso era una bevanda riservata all’aristocrazia. Nel ‘500 anche il caffè approdò in Occidente, ma essendo considerato un prodotto molto costoso fu poco apprezzato. Nel ‘700 invece le bevande nervine (te, caffè e cioccolata) conobbero una grandissima diffusione e assieme alla nascita della pasticceria incrementarono l’utilizzo dello zucchero raffinato.
Proprio questo diviene alimento di distinzione sociale della corte, i cui gusti si distanziano da quelli speziati del passato per avvicinarsi a quelli più dolci, portando all’invenzione della moderna pasticceria e alla confetteria.
Il pane rimane l’alimento alla base della dieta dei poveri, per lo più preparato in casa e cotto nei forni pubblici allo scopo di consentire alle autorità di controllare le possibilità economiche di ognuno e di procedere alla tassazione. Questa pratica serviva anche a mantenere un equo prezzo del pane. Quando il pane era duro c’era l’abitudine di preparare delle minestre come la panata o come il pancotto, tozzi di pane duro bolliti assieme ai broccoli.  Verso la fine del settecento avviene la scoperta del mulino a cilindro che permetterà la produzione più veloce ed economica della farina bianca, la quale risulterà però meno nutriente. L’impoverimento della farina sul piano nutrizionale non rappresentava un grosso problema per la salute dei ricchi, ma per gli strati più poveri avrebbe accentuato le carenze di un’alimentazione già misera.       Patata, zucchero e farina provocano effetti dannosi sul metabolismo, aumentando le probabilità di obesità e malattie cardiovascolari.
Gli agrumi e la frutta, negli strati più alti, acquistarono una grande importanza. Verdure, legumi e insalate ebbero finalmente il loro ruolo di rilievo grazie al massiccio utilizzo di aromi locali. Le zuppe, di consumo comune in quasi tutti gli strati della società, sono solitamente a base di erbe odorifere, come ad esempio le cipolle.
Si evince da questo quadro un forte squilibrio alimentare in base alle classi sociali di appartenenza. I ricchi non solo hanno a disposizione un più largo ventaglio alimentare, ma in questo periodo nasce una vera e propria arte culinaria, molto ricercata e scenografica.
I poveri invece quando sono costretti, sperimentano anche loro nuovi alimenti (come la patata e il mais), non per vezzo ma per sopravvivenza . Gli abitanti delle aree montane erano forse gli unici a scampare sempre alle carestie per il loro regime alimentare che abbinava prodotti agricoli a quelli dell’allevamento e della pesca.

Come è cambiata l’alimentazione dell’uomo: il Medioevo

Per il Medioevo è impossibile parlare di unità culturale e politica così come si era fatto per l’età Antica. Con la caduta dell’Impero Romano alle strutture tipiche dell’impero si sostituiscono quelle  delle popolazioni barbare, due culture agli antipodi, la prima sostanzialmente agricola, alimentata dal mito dell’urbe e dell’agricoltura, i cui alimenti status sono il pane di grano, il vino e l’olio; la seconda è una società per lo più guerriera, basata sulla caccia e l’allevamento in semi-libertà, popolazioni che si dividono in grossi villaggi, generalmente sotto la guida di un capo.

Alto medioevo

Alla caduta dell’impero d’occidente il modello romano resiste, anche grazie alla diffusione del Cristianesimo che mantiene le tradizioni di Roma.
Non è un periodo di conversione, ma piuttosto di fusione fra le diverse culture, la tradizione barbara si integra a quella romana.
I barbari si occupavano principalmente della caccia di bestie selvatiche e dell’allevamento. I guerrieri erano ritenuti il ceto più importante, perciò la carne era considerata un alimento di altissima importanza fornendo all’organismo umano le sostanze necessarie alla sua crescita (proteine, fosforo, calcio e ferro). La birra, laddove era possibile, veniva spesso sostituita dal vino. Due tipi di vini erano principalmente diffusi: i vini fiore, ottenuti dalla spremitura prima dell’uva, e i vinelli, ottenuti con la spremitura dei resti.

I germani, con cereali meno raffinati del grano (segale, fatto, miglio) iniziarono a produrre anche una variante del pane bianco. Nell’Europa meridionale vi fu un incremento del consumo di carne e dell’utilizzo di lardo e burro come sostituto dell’olio. La carne prodotta  in queste zone era principalmente quella dei maiali e delle pecore, strettamente legata alla tradizione italica, o animali da cortile.
La carne veniva generalmente bollita, per renderla più morbida e per sterilizzarla.
Questo sistema agro-silvo-pastorizio forniva alle popolazioni interessate un’alimentazione diversificata, dovuta anche ad un certo equilibrio demografico.

I cereali inferiori erano molto più diffusi del grano e solitamente accompagnati da legumi (fave, fagioli, ceci). Le verdure dell’orto, sul quale non gravavano imposte, erano un elemento importante nella preparazione di zuppe nelle quali si cuoceva poi la carne. Anche il pesce era un alimento molto apprezzato, ma più pericoloso da reperire poiché dal VII secolo il mediterraneo era quasi tutto sotto il dominio arabo.
La società medioevale era sostanzialmente organizzata in tre gruppi: bellatores (guerrieri-aristocrazia), oratores (clero) e laboratores (per lo più contadini). Ciascun ceto mangiava cibi diversi. L’aristocrazia, specialmente se germanica, prediligeva la carne rossa e la selvaggina. Il clero, soprattutto se quello monastico, seguiva la Regola Benedettina, perciò mangiava per lo più pane, minestre in brodo con erbe e ortaggi.   Per i laboratores lo spettro alimentare era più povero, ma il la grande varietà di cibi del periodo gli permetteva di consumare cereali, erbe, ortaggi, legumi e anche carne (pollame, maiale e ovini) seppur in piccole quantità.
Numerosi studi sui resti umani appartenenti a quest’epoca, lasciano intendere che gli individui nutrivano di buona salute. Non risulta che ci siano stati lunghi periodi di carestie o crisi demografiche dovute ad epidemie.

Basso medioevo

Il passaggio dall’alto  al basso medioevo modificò radicalmente la produzione alimentare europea. Dalla metà del X° secolo il sistema agro-silvo-pastorale è minacciato da una forte spinta demografica e dalla nascita di una nuova economia di mercato.
La grande quantità di terre incolte spinge i ricchi proprietari terrieri ad estendere lì le proprie colture.
Non si parla più di un’economia di sussistenza.
La colture dei cereali viene incrementata per dure ragioni,  è facile da conservare e da stoccare e perché consente di soddisfare il nuovo mercato.  Il paesaggio agrario europeo si trasforma. I cereali tornano ad essere l’elemento principale dell’alimentazione contadina, il diritto alla caccia e al pascolo diventa illimitato e ben presto la carne scompare dalle aree rurali, almeno fino al XIV°, quando la peste consente un notevole calo demografico.  L’aristocrazia e gli abitanti delle città continuano a beneficiare di un privilegio alimentare, sostenuto dalle autorità. Vi è una netta opposizione fra modello urbano e quello rurale, non solo a livello quantitativo ma anche qualitativo.                 Nelle città c’è a disposizione pane bianco e carni fresche (di pecora principalmente), mentre nelle campagne il pane è più grezzo, la carne generalmente salata per la conservazione.
Il vino era la bevanda maggiormente consumata in questo periodo, spesso annacquato o insaporito da spezie o frutta, come lo zenzero, il cardamomo, l’anice.
In questo periodo si diffonde una certa ricercatezza, nel ceto aristocratico e borghese, non solo nella varietà degli alimenti ma anche nella loro preparazione.               L’aristocratico, allo scopo di ostentare le proprie qualità, aveva l’obbligo di presentare ai sui convitati vivande ricercate, servite durante banchetti eleganti, spesso accompagnati da interpretazioni musicali o teatrali.
Ebbero grande diffusione le spezie, per insaporire i cibi. La differenza tra pietanze dolci e salate in questo periodo è piuttosto trascurata, ogni vivanda era solitamente dolcificata dal miele.
La dieta del clero, esaminando gli scritti del periodo, risulta quasi invariata. Il consumo della carne avveniva solamente in certi giorni dell’anno, mentre in giornate specifiche, come il mercoledì e il venerdì era sostituita da uova, formaggi, legumi o pesce.
Grande importanza ebbe anche il dominio Arabo nel meridione: gli arabi diffusero nella zona mediterranea alcuni frutti e agrumi (albicocche, cedro, arance, limoni), ortaggi (melanzane,  spinaci,  carciofi) e nuovi cereali ( sorgo e riso).
La netta separazione fra le diete in base alle classi sociali ebbe il suo riverbero anche sulla condizione della salute della popolazione, facendo emergere le scarsissime e durissime condizioni di vita nelle zone rurali.