Come è cambiata l’alimentazione dell’uomo: l’età moderna

L’età moderna, con la cui datazione non si può mai essere precisi, va dalla scoperta dell’America (1492) alle grandi rivoluzioni industriali e sociali che si susseguiranno fino agli ultimi decenni dell’800.

In un lasso di tempo tanto vasto si sono alternati avvenimenti che hanno mutato, tra le tante cose, anche il regime alimentare delle popolazioni europee.
Uno di questi è la crescita urbana, che continua a fomentare l’economia di mercato.    Ad essa è legata una grossa espansione demografica, che mette in crisi le strutture di produzione e di approvvigionamento alimentare.
La popolazione Europea passa dai 90 milioni di individui nel XIV° secolo ai 200 milioni verso gli inizi del XIX°secolo.
Per aumentare la produttività agricola si ricorre al disboscamento dei terreni incolti e la privatizzazione degli stessi, a discapito del pascolo e del raccolto. Di nuovo, la crescita dell’agricoltura immette un’enorme quantità di semi nell’alimentazione popolare che risulta sempre più carente di proteine.
Il consumo di carne diminuisce progressivamente, così come quello del pesce a causa della sua deperibilità. In alternativa al pesce fresco, le pratiche di conservazione subiscono un incremento notevole: l’aringa affumicata, il merluzzo, lo stoccafisso e il baccalà sotto sale diventano surrogati della carne indispensabili per le classi popolari.
I cereali tornano con prepotenza ad essere l’alimento cardine di questi anni, avendo nei periodi di secca ripercussioni pesantissimi sulle popolazioni.
Uno degli avvenimenti più importanti di quest’età è certamente la scoperta dell’America, che sancisce il passaggio dal Medioevo all’età moderna.
L’Europa importò dal nuovo mondo una grande vastità di nuovi alimenti come il mais, il cacao, la patata, nuove varietà di fagioli e i pomodori.
Il mais era il cereale su cui si fondava l’alimentazione dei popoli del centro-America. Portato in Spagna da Colombo, divenne famoso nelle campagne verso il finire del ‘500 grazie alla sua buona resa, tanto che tra il XVI e il XVII secolo divenne l’alimento di base dei contadini italiani e francesi, con l’inconveniente di diffuse epidemie di pellagra, dovute alla carenza della vitamina PP nel mais.
La patata, scoperta dagli spagnoli agli inizi del ‘500, fu proposta da Antoine Parmentier come sostituto del grano nei periodi di carestia, ma ritenuta da sempre alimento adatto ai maiali, fu largamente respinta. Solo nel corso del ‘700 si affermerà come alimento di base delle popolazioni europee, durante quella che verrà definita una vera e propria rivoluzione agricola.
Il cacao, che era coltivato nell’area messicana, usato dagli Aztechi e dai Maya come moneta di scambio, in Europa suscitò molta curiosità. Gli spagnoli furono i primi ad introdurre il suo uso nel vecchio continente, ma dato il suo alto costo, la cioccolata ricavata da esso era una bevanda riservata all’aristocrazia. Nel ‘500 anche il caffè approdò in Occidente, ma essendo considerato un prodotto molto costoso fu poco apprezzato. Nel ‘700 invece le bevande nervine (te, caffè e cioccolata) conobbero una grandissima diffusione e assieme alla nascita della pasticceria incrementarono l’utilizzo dello zucchero raffinato.
Proprio questo diviene alimento di distinzione sociale della corte, i cui gusti si distanziano da quelli speziati del passato per avvicinarsi a quelli più dolci, portando all’invenzione della moderna pasticceria e alla confetteria.
Il pane rimane l’alimento alla base della dieta dei poveri, per lo più preparato in casa e cotto nei forni pubblici allo scopo di consentire alle autorità di controllare le possibilità economiche di ognuno e di procedere alla tassazione. Questa pratica serviva anche a mantenere un equo prezzo del pane. Quando il pane era duro c’era l’abitudine di preparare delle minestre come la panata o come il pancotto, tozzi di pane duro bolliti assieme ai broccoli.  Verso la fine del settecento avviene la scoperta del mulino a cilindro che permetterà la produzione più veloce ed economica della farina bianca, la quale risulterà però meno nutriente. L’impoverimento della farina sul piano nutrizionale non rappresentava un grosso problema per la salute dei ricchi, ma per gli strati più poveri avrebbe accentuato le carenze di un’alimentazione già misera.       Patata, zucchero e farina provocano effetti dannosi sul metabolismo, aumentando le probabilità di obesità e malattie cardiovascolari.
Gli agrumi e la frutta, negli strati più alti, acquistarono una grande importanza. Verdure, legumi e insalate ebbero finalmente il loro ruolo di rilievo grazie al massiccio utilizzo di aromi locali. Le zuppe, di consumo comune in quasi tutti gli strati della società, sono solitamente a base di erbe odorifere, come ad esempio le cipolle.
Si evince da questo quadro un forte squilibrio alimentare in base alle classi sociali di appartenenza. I ricchi non solo hanno a disposizione un più largo ventaglio alimentare, ma in questo periodo nasce una vera e propria arte culinaria, molto ricercata e scenografica.
I poveri invece quando sono costretti, sperimentano anche loro nuovi alimenti (come la patata e il mais), non per vezzo ma per sopravvivenza . Gli abitanti delle aree montane erano forse gli unici a scampare sempre alle carestie per il loro regime alimentare che abbinava prodotti agricoli a quelli dell’allevamento e della pesca.

Come è cambiata l’alimentazione dell’uomo: dal Mesolitico all’epoca romana.

Dal mesolitico al neolitico 

L’alimentazione dell’uomo dalle sue origini all’età contemporanea ha subito enormi trasformazioni.
Il periodo che corre dal mesolitico al neolitico è caratterizzato dal nomadismo, perciò l’uomo si procurava con la caccia e la raccolta di bacche e radici.

La sua dieta era costituita prevalentemente da selvaggina e da bacche, semi selvatici e qualche vegetale. In aggiunta a questo stile di vita nomade bisogna considerare anche le precarie condizioni di vita influenzate dai cambiamenti climatici e territoriali.
All’inizio del neolitico l’uomo inizia il processo di sedentarizzazione e la sua dieta subisce i primi fondamentali cambiamenti: si sviluppano le prime tecniche di agricoltura, con la domesticazione delle piante, cereali (orzo, farro, grano), dei legumi (lenticchie, ceci, piselli), frutta e verdura.

Anche l’allevamento nasce in questo periodo ma la caccia non verrà ancora abbandonata in quanto questa nuova pratica, tanto quanto l’agricoltura, comporta una restrizione nel panorama delle varietà degli alimenti da mangiare.

Non tutti gli animali sono adatti all’addomesticamento, poche specie vegetali sono adatte ad una coltivazione controllata. Emancipandosi dalle dipendenze della natura, smettendo di seguirne le migrazioni, l’uomo rompe l’armonia che lo lega ad essa ma paradossalmente si pone dei limiti sulla varietà e la diversità della propria alimentazione.
Ci si confronta con la prima politica produttivistica poiché l’agricoltore in vista di una possibile carestia pensa di dover produrre di più e conservare per i periodi di secca. Tutto ciò implica non solo uno sfruttamento dei campi, ma anche la necessità di nuova forza lavoro.

L’incremento demografico segna l’inizio di un circolo vizioso, perché aumenta il rischio di carestie.

Antico Egitto 

L’età Egizia ci fornisce un quadro più completo, grazie alle molteplici fonti disponibili, dalle quali si evince la varietà dell’alimentazione di questo popolo, nonostante le sostanziali differenze di classe.

Gli egizi prediligevano i volatili (quaglie, anatre, oche), ma l’animale maggiormente allevato era il maiale. Piuttosto diffuso anche l’allevamento di ovini e bovini, la pesca rappresentava una buona parte dello spettro alimentare dell’antico Egitto.

Le terre del Nilo, per la loro fertilità, erano ideali per la messa a coltura di cereali, verdure (porri, lattughe, cipolle), legumi e frutta (datteri e angurie).

La natura irregolare del Nilo però influiva sul regime alimentare dell’Egitto, che appare piuttosto squilibrato. Se per le classi più agiate i prodotti alimentari più consumati erano carni di diversi tipi, i più poveri vivevano seguendo una dieta quasi vegetariana. Recenti studi hanno portato alla luce le scarse condizioni di salute di una grossa fetta della popolazione che si nutriva principalmente di cereali.

I ricchi al contempo tendevano ad eccedere con cibi e bevande particolarmente grasse e dalle analisi di numerosi papiri e mummie, i cui denti erano spesso mal ridotti, si è giunti alla conclusione che malattie cardiovascolari e obesità erano largamente diffuse. Come attesta il caso della regina Hatshepsut, la cui mummia riporta chiari indizi della sua obesità e del suo diabete.

La Grecia

I cereali costituivano una vasta percentuale del consumo e della produzione del mondo greco. La scelta alimentare greca non deriva dalla realtà geografico-economica ma da una politica ideologica fortemente radicata.
L’uomo greco conveniva che in quanto uomo civilizzato dovesse essere egli stesso l’artefice della propria alimentazione attraverso l’agricoltura, pratica che avrebbe elevato la propria condizione umana. La carne era perciò un alimento moralmente basso, in quanto l’uomo non compiva un vero e proprio lavoro nell’ allevamento.

La caccia era relegata ad attività servile, in quanto per sua natura precaria e lontana dall’armonia della vita dell’uomo civilizzato.

Gli alimenti che rappresentavano lo status dell’uomo greco erano il pane di grano, il vino, l’olio d’oliva e il formaggio.  Tutto ciò che l’uomo trasformava partendo da alimenti grezzi.
La realtà quotidiana della Grecia Antica non era sempre perfettamente conforme ai loro ideali; il cibo del popolo era rappresentato in linea di massima da zuppe di verdure, cereali grezzi e legumi, ma anche per loro il consumo di carne era marginale, una sorta di tabù.
Solo il soldato, che traeva la sua forza erculea dalla carne,per tradizione era invece carnivoro.
La pesca rivestiva un ruolo diverso, ampiamente praticata ed accettata per due motivi principali: il primo era dovuto alla complessità dell’atto stesso della pesca, che la poneva quasi al pari dell’agricoltura, ma soprattutto perché il pesce rappresentava una parte fondamentale della tradizione alimentare del Mediterraneo.

Roma

I romani d’altro canto riservano alla carne un ruolo ben più importante, derivante dalla tradizione italica dell’allevamento dei maiali. Il frumento è un alimento di fondamentale importanza per la sopravvivenza dell’Impero.

Roma importava ingenti quantità di grano dalle sue province, prima Sicilia e Sardegna, poi dall’Egitto, la cui produzione di frumento soddisfaceva metà del fabbisogno, che sotto Augusto fu amministrata da un suo prefetto e l’accesso alla provincia fu vietata a tutti i senatori.
L’alimento simbolo dei romani è il pane, soprattutto per il soldato romano. Il legionario accompagna spesso questo alimento con olive, fichi e olio, tipici delle coste mediterranee.

Questo tipo di alimentazione fa del soldato una figura generalmente in sovrappeso, la cui forza sta nella resistenza. Quando l’esercito romano ha bisogno di combattenti più agili si serve degli alleati barbari.
Il volgo consuma invece poco grano, generalmente quello elargito dallo stato, soprattutto nei periodi di penuria. Gli alimenti maggiormente consumati da questa parte della popolazione sono il maiale, il pollame, i formaggi,verdure (cavolo) e cereali grezzi. 
Il tipo di alimentazione dei romani appare perciò più equilibrata da quella dei Greci, benché il grano rivesta comunque un ruolo di primaria importanza.